Uomo del mio tempo - s. Quasimodo
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t'ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all'altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
In questo componimento, pubblicato poco dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, il poeta, scosso nel profondo dalle atrocità perpetrate dall'uomo contro l'umanità stessa durante gli anni di guerra, riflette sulla forte dissonanza tra l'evoluzione della scienza e della tecnologia e la sterile permanenza dell' uomo in uno stato di natura, in cui le uniche leggi vigenti sono la violenza e la sete di potere. Poiché è a causa della natura corrotta dell'uomo che nel passato è svanita la possibilità di fare un corretto utilizzo delle scoperte tecnologiche, l'autore si rivolge alla nuova generazione ed invita l''uomo del suo tempo' a dimenticare le azioni violente con cui si sono macchiati i padri, al fine di riuscire a dare un nuovo inizio alla storia e permettere una svolta verso la prosperità, non solo economica e sociale, ma soprattutto etica e morale.
Filippo Ferrari
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