venerdì 3 giugno 2016

"Niente di nuovo sul fronte occidentale" di E. M. Remarque

 Questo brano è tratto dal capitolo finale del romanzo "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di E. M. Remarque e narra gli ultimi giorni di guerra del protagonista, il soldato tedesco Paul Baumer, arruolatosi volontario nel 1914 a diciannove anni sulla spinta degli ideali di onore e difesa della patria proposti dalla propaganda nazionale e diffusi soprattutto nelle scuole attraverso i docenti. Paul, narratore in prima persona del romanzo, ben presto si scontra con gli orrori della guerra di trincea, con la brutalità dei combattimenti e con la morte di tutti i suoi amici un tempo compagni di scuola e dopo essere sopravvissuto al disumanizzante conflitto durato più di quattro anni fino al 1918 e sempre più insensato, si rende conto che anche l'armistizio tanto sperato e ormai imminente non gli restituirebbe le speranze e i sogni che aveva prima della guerra né lo salverebbe dal senso di solitudine che attanaglia la sua generazione, ormai segnata dalla violenza e dalla paura.


E' l'autunno. Dei vecchi compagni non siamo più molti qui. Io sono l'ultimo dei sette che venimmo insieme dalla scuola.
Tutti parlano di pace e di armistizio. Tutti aspettano. Se anche questa volta fosse una delusione, guai; le speranze son troppo forti, non si posso rintuzzare senza farle esplodere. Se non sarà la pace, sarà la rivoluzione.
Mi danno due settimane di riposo, perché ho respirato un po' di gas. Siedo in un piccolo giardino, tutto il giorno al sole. L'armistizio viene tra poco, ora lo chiedo anch'io. Ce n'andremo a casa.
(...)
E neppure ci potranno capire. Davanti a noi infatti sta una generazione che ha, sì, passato con noi questi anni, ma che aveva già prima un focolare ed una professione, ed ora ritorna ai suoi posti d'un tempo, e vi dimenticherà la guerra; dietro a noi sale un'altra generazione, simile a ciò che fummo noi un tempo; la quale ci sarà estranea e ci spingerà da parte. Noi siamo inutili a noi stessi. Andremo avanti, qualcuno si adatterà, altri si rassegneranno, e molti rimarranno disorientati per sempre; passeranno gli anni, e finalmente scompariremo.
(...)
Mi alzo: sono molto contento. Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranze che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha portato attraverso questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se ioabbia saputo dominarla, non so. Ma finchè dura, essa si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell'essere, che nel mio interno dice "io".
Egli cadde nell'ottobre 1918, in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: "Niente di nuovo sul fronte occidentale".
Era caduto con la testa in avanti e giaceva sulla terra, come se dormisse. Quando lo voltarono si vide che non doveva aver sofferto a lungo: il suo volto aveva un'espressione così serena, quasi che fosse contento di finire così.
Lorenzo Abate

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