E' l'autunno. Dei vecchi compagni non siamo più molti qui. Io sono l'ultimo dei sette che venimmo insieme dalla scuola.
Tutti parlano di pace e di armistizio. Tutti aspettano. Se anche questa volta fosse una delusione, guai; le speranze son troppo forti, non si posso rintuzzare senza farle esplodere. Se non sarà la pace, sarà la rivoluzione.
Mi danno due settimane di riposo, perché ho respirato un po' di gas. Siedo in un piccolo giardino, tutto il giorno al sole. L'armistizio viene tra poco, ora lo chiedo anch'io. Ce n'andremo a casa.
(...)
E neppure ci potranno capire. Davanti a noi infatti sta una generazione che ha, sì, passato con noi questi anni, ma che aveva già prima un focolare ed una professione, ed ora ritorna ai suoi posti d'un tempo, e vi dimenticherà la guerra; dietro a noi sale un'altra generazione, simile a ciò che fummo noi un tempo; la quale ci sarà estranea e ci spingerà da parte. Noi siamo inutili a noi stessi. Andremo avanti, qualcuno si adatterà, altri si rassegneranno, e molti rimarranno disorientati per sempre; passeranno gli anni, e finalmente scompariremo.
(...)
Mi alzo: sono molto contento. Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranze che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha portato attraverso questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se ioabbia saputo dominarla, non so. Ma finchè dura, essa si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell'essere, che nel mio interno dice "io".
Egli cadde nell'ottobre 1918, in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: "Niente di nuovo sul fronte occidentale".
Era caduto con la testa in avanti e giaceva sulla terra, come se dormisse. Quando lo voltarono si vide che non doveva aver sofferto a lungo: il suo volto aveva un'espressione così serena, quasi che fosse contento di finire così.
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