martedì 14 giugno 2016

Condividere l'esperienza...

Abbiamo portato nella città la nostra esperienza. Una prima volta, per l'Open Day del Razionalismo, con un reading proprio all'ombra del Monumento ai Caduti.
Qui il link alla pagina del quotidiano locale che ne ha parlato diffusamente:

http://www.bibazz.it/culture/open-day-razionalismo-i-ragazzi-del-volta-raccontano/





Una seconda volta, in occasione della serata dedicata ai progetti teatrali del Liceo.
Ecco il link:
http://www.bibazz.it/culture/volta-quando-il-teatro-si-fa-a-scuola/







Grazie a tutti!

domenica 5 giugno 2016

Schindler's List, monologo finale, Steven Spielberg, 1993


“La resa incondizionata della Germania è stata appena annunciata. A mezzanotte la guerra finirà ufficialmente. Domani inizierete a cercare notizie dei sopravvissuti delle vostre famiglie. Nella maggior parte dei casi... non li troverete. Dopo sei lunghi anni di omicidi, le vittime avranno il cordoglio di tutto il mondo. Noi siamo vivi. Molti di voi sono venuti da me a ringraziarmi. Ringraziate voi stessi. Ringraziate l'impavido Stern, e alcuni altri che preoccupati per voi hanno affrontato la morte ogni istante. Io sono un membro del partito nazista. Sono un fabbricante di munizioni varie. Sfruttatore del lavoro di schiavi. Io sono... un criminale. A mezzanotte voi sarete liberi e io braccato. Rimarrò con voi fino a cinque minuti dopo la mezzanotte, allo scadere dei quali – e spero che mi perdonerete – dovrò fuggire.






(Si rivolge alle SS)

So che avete ricevuto ordini dal nostro comandante, che a sua volta li ha ricevuti dai suoi superiori, di eliminare la popolazione di questo campo. Questo è il momento di farlo. Eccoli, sono tutti qui. È la vostra opportunità. Oppure, potete andarvene dalle vostre famiglie da uomini e non da assassini.

(Le SS escono lentamente; Schindler torna a rivolgersi ai lavoratori)

In memoria delle innumerevoli vittime fra il vostro popolo, io vi chiedo di osservare tre minuti di silenzio.


Il monologo è tratto dal film diretto dal pluripremiato Steven Spielberg, Schindler's List. Esso ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per lo straordinario impatto che la trasposizione ebbe sul pubblico. Il film tratta il tema della shoa e racconta la storia di un imprenditore industriale, iscritto al partito nazista, che fonda una fabbrica di granate sottraendo anche denaro a ebrei con la promessa di restituirli, offrendo loro lavoro nella fabbrica. La straordinarietà reale della figura di Schindler sta nel fatto che l'impresa da lui creata permetterà di salvarsi a 1.100 ebrei destinati allo sterminio.
L'apice della commozione si raggiunge nella scena finale, la quale impostata come un resoconto dell'abominio nazista, fornisce speranze di amore e fratellanza, che in quegli anno sembravano perdute.
Ancor più significativa ed emozionante, la frase tratta dal Talmud e incisa sull'anello che gli operai regalano all'imprenditore: "Chi salva una vita salva il mondo intero". Queste parole sottolineano quanto fosse insignificante e priva di finalità l'opera tedesca nella Seconda Guerra Mondiale in confronto a quanto più potesse valere il gesto di un solo uomo, indirizzato a un bene, non politico, non religioso, non etico, ma universale: la cooperazione e la salvezza.








>Andrea Peterlin

Mio fratello aviatore di Bertolt Brecht


MIO FRATELLO AVIATORE -Bertolt Brecht


Avevo un fratello aviatore.

Un giorno, la cartolina.

Fece i bagagli, e via,

lungo la rotta del sud.


Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio; e prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.

E lo spazio che s'è conquistato
è sui monti del Guadarrama.
È di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profondità.





Bertolt Brecht è un famoso poeta e drammaturgo tedesco, che in periodo nazista dovette lasciare la Germania. Durante l'esilio il poeta scrisse delle raccolte di poesie, di cui "Mio fratello aviatore" fa parte. Egli era sicuro che presto sarebbe scoppiato un secondo conflitto mondiale e sentì la necessità di scrivere componimenti che risvegliassero la coscienza dei lettori. Con questa breve poesia, caratterizzata da versi scarni e velenosi e da una sottile ironia, l'autore vuole denunciare i miti che Hitler diffondeva per ottenere consenso, soprattutto quello del "popolo tedesco come conquistatore  per ottenere nuovi territori e dunque benessere", espresso dalla frase "il popolo nostro ha bisogno di spazio". La sete di potere tedesca, secondo il poeta, avrebbe portato soltanto alla morte e decise di rappresentare la sua visione, riportando quasi crudelmente le misure della tomba dell'aviatore, vittima di un regime autodistruttivo e di una guerra spietata e spaventosa.








Beatrice Sedda

sabato 4 giugno 2016

Il trauma della Grande Guerra nel fantasy, J.R.R.Tolkien


La Grande Guerra ha trasformato anche il genere fantasy

Più di 80000 soldati inglesi alla fine della Grande Guerra soffrirono di psicosi traumatica, a causa delle esperienze drammatiche vissute durante il conflitto, e tra questi anche J.R.R. Tolkien. Egli partecipò alla Guerra e nel periodo di convalescenza in ospedale conobbe gli effetti di tale condizione, i cui sintomi sono allucinazioni vivide, incubi che riportano agli eventi traumatici, ansia, depressione, confusione emotiva e alterazioni della personalità. A causa di questa esperienza, aldilà di ogni aspettativa e rompendo ogni legame con le strutture tipiche della tradizione, ne Il signore degli anelli, Frodo lascia la Terra di Mezzo per cercare la vera pace, nonostante sia giunto per lui il momento di godersi la tranquillità della Contea; egli non è più in grado di tornare indietro alla sua vecchia vita, è ferito in modo incurabile, dopo gli orrori che la guerra nella Terra di Mezzo gli ha mostrato. In questo senso, Frodo è figura del grande cambiamento che la Guerra ha portato negli uomini e, di conseguenza, nella letteratura: nessuno è stato più in grado di essere ciò che è stato prima.


One evening Sam came into the study and found his master looking very strange. He was very pale and his eyes seemed to see things far away.
‘What’s the matter, Mr. Frodo?’ said Sam.
‘I am wounded,’ he answered, ‘wounded; it will never really heal.’
[...]
‘Where are you going, Master?’ cried Sam, though at last he understood what was happening.
‘To the Havens, Sam,’ said Frodo.
‘And I can’t come.’
‘No, Sam. Not yet anyway, not further than the Havens. Though you too were a Ring-bearer, if only for a little while. Your time may come. Do not be too sad, Sam. You cannot be always torn in two. You will have to be one and whole, for many years. You have so much to enjoy and to be, and to do.’
‘But,’ said Sam, and tears started in his eyes, ‘I thought you were going to enjoy the Shire, too, for years and years, after all you have done.’
‘So I thought too, once. But I have been too deeply hurt, Sam. I tried to save the Shire, and it has been saved, but not for me. It must often be so, Sam, when things are in danger: some one has to give them up, lose them, so that others may keep them. But you are my heir: all that I had and might have had I leave to you. And also you have Rose, and Elanor; and Frodo-lad will come, and Rosie-lass, and Merry, and Goldilocks, and Pippin; and perhaps more that I cannot see. Your hands and your wits will be needed everywhere. You will be the Mayor, of course, as long as you want to be, and the most famous gardener in history; and you will read things out of the Red Book, and keep alive the memory of the age that is gone, so that people will remember the Great Danger and so love their beloved land all the more. And that will keep you as busy and as happy as anyone can be, as long as your part of the Story goes on.
‘Come now, ride with me!’
(Lord of the Rings, The Return of the King, J.R.R. Tolkien)



Una sera Sam entrò nello studio e trovò il suo padrone molto strano. Era pallido, e i suoi occhi sembravano vedere cose lontane. «Che c’è che non va, signor Frodo?», disse Sam.
«Sono ferito», egli rispose, «ferito; non guarirò mai del tutto».
[...]
«Dove state andando, padrone?», gridò Sam, benché avesse finalmente capito quel che stava succedendo.
«Ai Rifugi, Sam», disse Frodo.
«E io non posso venire».
«No, Sam. Non ancora, comunque, non oltre i Rifugi. Benché sia stato anche tu Portatore dell’Anello, per poco tempo. Forse verrà la tua ora. Non essere troppo triste, Sam. Non puoi essere sempre lacerato in due. Dovrai essere uno e sano per molti anni. Hai tante cose da godere, da vivere, da fare».
«Ma», disse Sam, e le lacrime incominciarono a sgorgargli dagli occhi, «credevo che anche voi voleste godervi la Contea, per anni e anni, dopo tutto quello che avete fatto».
«Anch’io lo credevo, un tempo. Ma sono stato ferito troppo profondamente, Sam. Ho tentato di salvare la Contea, ed è stata salvata, ma non per merito mio. Accade sovente così, Sam, quando le cose sono in pericolo: qualcuno deve rinunciare, perderle, affinché altri possano conservarle. Ma tu sei il mio erede: tutto ciò che ebbi e che avrei potuto avere io, lo lascio a te; e poi tu hai Rosa, ed Elanor, e verranno anche il piccolo Frodo e la piccola Rosa, e Merry e Cioccadoro e Pipino, e forse altri che ancora non vedo. Le tue mani e il tuo cervello saranno necessari dappertutto. Sarai Sindaco, naturalmente, finché vorrai, e il più famoso giardiniere della storia; e leggerai brani del Libro Rosso, mantenendo vivo il ricordo dei tempi passati, affinché la gente ricordi il Grande Pericolo ed ami ancora di più il suo caro paese. Tutto ciò ti renderà occupato e felice finché durerà la tua parte nella Storia.
«Coraggio, ora cavalca con me!».
(Il Signore degli Anelli, Il Ritorno del Re, J.R.R. Tolkien)




Greta Albonico


venerdì 3 giugno 2016

L'amore ai tempi della guerra - la lettera di Albano Rocco, soldato

Un ultimo amaro e doloroso saluto prima di incamminarsi verso una rotta sconosciuta, verso una guerra di cui non si intravede la fine, ma solo la crudeltà, l'insensatezza e l'indifferenza; l'indifferenza verso due amanti, la cui unica intenzione era vivere una vita lunga e felice insieme, che dovettero dirsi addio, per un tempo indeterminato, forse anche per sempre, per una guerra che non avevano mai scelto.
Ma la guerra, con la sua spietatezza, non può inaridire il cuore di un uomo innamorato: questo trapela dalle tenere e affettuose parole scritte da Albano Rocco, un soldato italiano partito per l'Albania nel 1943 e in seguito fatto prigioniero dai tedeschi, in una lettera indirizzata alla sua amata Rocchina, suo unico barlume di speranza in mezzo a tanta agonia.
Perché l'amore è l'unica speranza che può vincere la guerra e ricordarci che siamo fatti per stare uniti, non autodistruggerci.


Mia dolce Rocchina,

E' giunta la mia ora che la cara Patria mi ha chiamato a compiere il mio proprio dovere. Ho partito lasciando te ed i cari genitori, ma non sapendo mai più al mio ritorno da te e da voi tutti miei cari. Nel senso che il nostro Duce mi ha chiamato a compiere il mio dovere ove chi osa a interrompere la nostra bella Italia tutta fiorente di fedeltà e amore. Nel caso il mio destino mi fosse contrario; mia cara Rocchina non piangermi, e non piangetemi tanto per me. Te lo giuro cara che se dovessi morire, morirei contento della speranza che verrà un bel giorno una pace giusta e vera per chi resta a godere questo mondo alla fine di questa guerra così strepitosa e piena d’angoscia per i propri cari. Rocchina ti chiedo un grande favore: non rendermi infelice e non abbandonarmi dopo morto se il destino mi chiama a questo: sono in guerra; amami lo stesso vogliami bene e sappi conservare il tuo amore verso di me, pensa il nostro passato, passato di bene e di felicità. Ma non fosse così che il nostro destino arriverebbe a questo cara, credo bene mia dolce Rocchina, alla mia presa nell’imbarcarmi sul piroscafo che mi conduceva verso il lontano destino che altrove dovevo aver a che fare con gente cruda e malvagia, piansi, piansi ma non riuscivo a scacciare via quei tristi pensieri così malinconici; a che andavano? Verso di te mia cara Rocchina rammentavo tutto il nostro passato, quanto divertimento quanta gioia, tutto è sfumato; tutto è passato. Non oso altro cara che chiederti di perdonarmi; avendoti recato dei disturbi non sapendo che il mio destino, sarebbe stato stravolto nell’abisso più profondo del globo terrestre. Se tornassi farei il possibile per non recarti mai più disturbo. Se il signore mi castiga a non fare più ritorno nel tuo seno, avrai la mia cara mamma che ti reca bene, per tutta la sua vita, cercate di collaborare sempre assieme, solo promettimi di non oltraggiare il mio nome se non torno. Termino con caro saluto a tutta la famiglia.
A te per sempre
il tuo caro marito Albano Rocco. Scritta a bordo in via per l’Albania.




Annalisa Baffa







San Martino del Carso - Giuseppe Ungaretti

G. UNGARETTI - SAN MARTINO DEL CARSO

Valloncello dell’albero isolato il 27 agosto 1916



Conclusasi la Sesta Battaglia dell'Isonzo, Giuseppe Ungaretti commenta i terribili effetti della guerra e gli orrendi strascichi che essa si lascia alle spalle: dei muri degli edifici non restano che brandelli; dei soldati, compagni del poeta, non molti sono rimasti.
Tuttavia, nel paese di San Martino del Carso, distrutto dalla guerra, Ungaretti celebra la memoria dei compagni caduti sul campo, condensando in pochi versi, densi di significato, l'importanza del rapporto umano, anche in ambienti di totale desolazione.
In mezzo alle macerie, il dolore, causato dal ricordo di ognuna delle corrispondenze intrattenute con chi non è sopravvissuto, è forte, tanto da tormentare il cuore del poeta, ben più dell'opprimente devastazione del campo di battaglia. 
Emerge dai versi, dunque, come i danni provocati dai conflitti siano di duplice natura: alla distruzione, alle menomazioni e ai morti, si aggiunge una moltitudine di reduci, inevitabilmente e indissolubilmente segnati dalla tragedia vissuta.


SAN MARTINO DEL CARSO


Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro

Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto


Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore

Il paese più straziato







Paolo Ciccardini




"Niente di nuovo sul fronte occidentale" di E. M. Remarque

 Questo brano è tratto dal capitolo finale del romanzo "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di E. M. Remarque e narra gli ultimi giorni di guerra del protagonista, il soldato tedesco Paul Baumer, arruolatosi volontario nel 1914 a diciannove anni sulla spinta degli ideali di onore e difesa della patria proposti dalla propaganda nazionale e diffusi soprattutto nelle scuole attraverso i docenti. Paul, narratore in prima persona del romanzo, ben presto si scontra con gli orrori della guerra di trincea, con la brutalità dei combattimenti e con la morte di tutti i suoi amici un tempo compagni di scuola e dopo essere sopravvissuto al disumanizzante conflitto durato più di quattro anni fino al 1918 e sempre più insensato, si rende conto che anche l'armistizio tanto sperato e ormai imminente non gli restituirebbe le speranze e i sogni che aveva prima della guerra né lo salverebbe dal senso di solitudine che attanaglia la sua generazione, ormai segnata dalla violenza e dalla paura.


E' l'autunno. Dei vecchi compagni non siamo più molti qui. Io sono l'ultimo dei sette che venimmo insieme dalla scuola.
Tutti parlano di pace e di armistizio. Tutti aspettano. Se anche questa volta fosse una delusione, guai; le speranze son troppo forti, non si posso rintuzzare senza farle esplodere. Se non sarà la pace, sarà la rivoluzione.
Mi danno due settimane di riposo, perché ho respirato un po' di gas. Siedo in un piccolo giardino, tutto il giorno al sole. L'armistizio viene tra poco, ora lo chiedo anch'io. Ce n'andremo a casa.
(...)
E neppure ci potranno capire. Davanti a noi infatti sta una generazione che ha, sì, passato con noi questi anni, ma che aveva già prima un focolare ed una professione, ed ora ritorna ai suoi posti d'un tempo, e vi dimenticherà la guerra; dietro a noi sale un'altra generazione, simile a ciò che fummo noi un tempo; la quale ci sarà estranea e ci spingerà da parte. Noi siamo inutili a noi stessi. Andremo avanti, qualcuno si adatterà, altri si rassegneranno, e molti rimarranno disorientati per sempre; passeranno gli anni, e finalmente scompariremo.
(...)
Mi alzo: sono molto contento. Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranze che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha portato attraverso questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se ioabbia saputo dominarla, non so. Ma finchè dura, essa si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell'essere, che nel mio interno dice "io".
Egli cadde nell'ottobre 1918, in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: "Niente di nuovo sul fronte occidentale".
Era caduto con la testa in avanti e giaceva sulla terra, come se dormisse. Quando lo voltarono si vide che non doveva aver sofferto a lungo: il suo volto aveva un'espressione così serena, quasi che fosse contento di finire così.
Lorenzo Abate