Nell'ultimo capitolo della Coscienza di Zeno di Italo Svevo, il protagonista annuncia di essere stato guarito, non dalla psico-analisi, ma dal commercio, favorito dalla nuova situazione creata dalla guerra: Zeno ha infatti cominciato a comprare merci di ogni tipo, aspettando il momento opportuno per rivenderle ad acquirenti bisognosi di tutto. Egli ha saputo adeguare il proprio comportamento alla situazione, diventando uno speculatore, e ha finalmente ottenuto il successo. Tuttavia, in questo equilibrio che Zeno ha faticosamente raggiunto, il lettore capisce che la guarigione raggiunta è solo apparente: dato che la speculazione permette a Zeno di omologarsi alla massa di compratori, il protagonista guarisce diventando malato come ogni uomo della società. La voce dissacrante di Svevo si concentra sul valore distruttivo della malattia umana, in quanto un individuo per guarire deve necessariamente imporsi sugli altri, di conseguenza la salute di uno comporta inevitabilmente la distruzione progressiva dell'umanità, come l'autore spiega nelle ultime parole dell'opera.
I. Svevo, La coscienza di Zeno
24 marzo 1916
[...] Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto, fino al principio dell’Agosto dell’anno
scorso. Allora io cominciai a comperare. Sottolineo questo verbo perché ha un significato più alto di
prima della guerra. In bocca di un commerciante, allora, significava ch’egli era disposto a
comperare un dato articolo. Ma quando io lo dissi, volli significare ch’io ero compratore di
qualunque merce che mi sarebbe stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa
una sola idea e di quella vissi e fu la mia fortuna. L’Olivi non era a Trieste, ma è certo ch’egli non
avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me non era un
rischio. Io ne sapevo il risultato felice con piena certezza. Dapprima m’ero messo, secondo l’antico
costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio in oro, ma v’era una certa difficoltà di
comperare e vendere dell’oro. L’oro per così dire liquido, perché più mobile, era la merce e ne feci
incetta. Io effettuo di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli
acquisti. Perché cominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furono tanto felici
che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli.
Con grande orgoglio ricordo che il mio primo acquisto fu addirittura apparentemente una
sciocchezza e inteso unicamente a realizzare subito la mia nuova idea: una partita non grande
d’incenso. Il venditore mi vantava la possibilità d’impiegare l’incenso quale un surrogato della
resina che già cominciava a mancare, ma io quale chimico sapevo con piena certezza che l’incenso
mai più avrebbe potuto sostituire la resina di cui era differente toto genere. Secondo la mia idea il
mondo sarebbe arrivato ad una miseria tale da dover accettare l’incenso quale un surrogato della
resina. E comperai! Pochi giorni or sono ne vendetti una piccola parte e ne ricavai l’importo che
m’era occorso per appropriarmi della partita intera. Nel momento in cui incassai quei denari mi si
allargò il petto al sentimento della mia forza e della mia salute. [...]
Valentina Lamarucciola
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