giovedì 14 aprile 2016

Lettere dal fronte – La tregua di Natale



 La notte di Natale 1914, nelle trincee del fronte occidentale (Francia e Belgio) ci fu una tregua. I soldati di entrambe le fazioni uscirono allo scoperto, si abbracciarono, fumarono, cantarono insieme, si scambiarono doni e organizzarono persino delle estemporanee partite di calcio. Gli Stati Maggiori coinvolti nel conflitto fecero di tutto per nascondere l'accaduto e cancellarne ogni traccia o memoria; recentemente però sono emerse dagli archivi militari di tutta Europa, lettere, diari e persino fotografie che sanciscono inequivocabilmente che la tregua accadde. Dalle lettere emergono dei ritratti di soldati, i quali erano partiti "per fare la guerra, per dare l'aiuto alla propria terra", come canta De André nella "Ballata dell'eroe". Tuttavia risulta evidente che gli eroi della prima guerra mondiale non aveva nulla a che fare con il modello di eroe classico o romantico, ma erano semplici studenti e operai che lasciavano le proprie famiglie per difendere la patria, gesto che fu fatale per molti. In conclusione, le ultime parole della ballata di De André sottolineano la condizione di molte famiglie segnate dalla guerra: "ma lei che lo amava aspettava il ritorno di un soldato vivo, d'un eroe morto che ne farà".


"Janet, sorella cara, sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l'avessi visto coi miei occhi non ci crederei. Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavate gli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con i soldati nemici qui nei campi di battaglia di Francia! "Le prime battaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sono trincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimasti nelle trincee ad aspettare.  Alcuni di noi sono usciti anch'essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzate poche ore prima». «Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Devo dire che i tedeschi erano vestiti meglio, con le divise pulite per la festa. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma molti tedeschi sapevano l'inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. 'Molti di noi hanno lavorato in Inghilterra', ha risposto. 'Prima di questo sono stato cameriere all'Hotel Cecil." "Forse ho servito alla tua tavola!' 'Forse!', ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza a Londra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E io gli ho detto: 'non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu puoi tornare a sposarla'. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevo mandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso."


Paolo Gilardoni







Lettere dal fronte: LA BATTAGLIA DI STALINGRADO


Le lettere dei soldati dal fronte fanno comprendere appieno cosa comporti la guerra per la vita sia di coloro che combattono sia dei civili con cui entrano in contatto: essa porta principalmente povertá e disperazione e rende gli uomini disposti a tutto pur di sopravvivere. Nonostante l'appartenenza a fronti e culture diverse, la ferocia della guerra risulta uguale per tutti, così nessuno ne esce realmente vincitore.
Dalle date riportate in alcune delle testimonianze si può notare come gli esiti della guerra siano incerti e facilmente mutevoli; infatti quella che doveva essere una schiacciante vittoria tedesca, nel giro di pochi mesi, si è trasformata in una devastante disfatta. Quello che emerge dalle lettere consiste principalmente nella presunzione dei tedeschi riguardo l'inferiorità dei russi, che invece si dimostrano tenaci, combattivi e disposti a tutto pur di difendere le proprie terre, d'altra parte l'italiano, pur ritenendo intelligente il popolo russo, esprime la sua determinazione nel combattere per ciò che definisce una "santa causa".

1942, seconda guerra mondiale: i soldati dell’Asse attaccano i russi per conquistare Stalingrado. Ecco le testimonianze di coloro che hanno vissuto l'evento in prima persona, da entrambi i fronti.

Ricordi del russo Boris Kryzhanovskij:
“Il 23 agosto, dopo pranzo, hanno iniziato a bombardare pesantemente la città. L’hanno distrutta in due giorni. Prima di tutto è stato devastato il quartiere centrale, dove vivevo io. Siamo scappati nel rifugio; il secondo giorno la nostra casa non esisteva più”.

Diario del soldato tedesco Wilhelm Goffman:
“23 agosto. Ottime notizie: le nostre truppe hanno raggiunto il Volga conquistando una parte della città. I russi avevano due opzioni: retrocedere lungo il Volga oppure arrendersi. In realtà è accaduto qualcosa di inspiegabile. A Nord i nostri eserciti prendono la città e arrivano fino al Volga; a Sud le divisioni ormai senza scampo continuano a opporre un’accanita resistenza. Fanatici…”.

“26 settembre. Dopo che il silo è stato preso, i russi hanno continuato a combattere con la stessa tenacia. Non li si vede proprio, si sono insediati nelle case e negli scantinati e da lì sparano dappertutto; hanno metodi da briganti. I russi hanno smesso di arrendersi. Se riusciamo a prendere un prigioniero è solo perché è ferito a morte e non può muoversi. Stalingrado è un inferno. Quelli che sono stati feriti sono fortunati, se ne andranno a casa e festeggeranno la vittoria con le loro famiglie…”.

Lettera del russo Nikolaj Danilov:
“25 ottobre. Combatto da più di un mese, è una dura lotta. Uccidiamo ogni giorno un centinaio di nazisti. Li scacceremo da Stalingrado! Eseguiremo l’ordine, difenderemo il Caucaso!”.

Lettere di soldati tedeschi:
 “1° dicembre. Tempo orribile, gli aerei con i viveri non riescono ad arrivare, ma credo comunque che prenderemo Stalingrado e se resisteremo fino a marzo le cose andranno meglio”.

“26 dicembre. Ci siamo mangiati tutti i cavalli. Mi sarei mangiato anche il gatto, dicono che anche la carne di gatto sia buona. I soldati assomigliano a cadaveri o a sonnambuli, cercano qualcosa da mettersi in bocca. Ormai non provano più a ripararsi dalle raffiche dei russi, non hanno le forze per muoversi o nascondersi”.

“10 gennaio. Ti dico addio, perché dopo questa mattina è stato tutto chiaro. Non ti scrivo della situazione al fronte, è evidente, è totalmente nelle mani dei russi. La questione è soltanto quanto a lungo riusciremo ancora a resistere, forse qualche giorno o forse qualche ora”. 

Lettera ai familiari dell'italiano Vittorio Arciero, 20 anni, di Cervaro, tenente del disciolto 89° reggimento fanteria "Salerno", scomparso in Russia.
 19.07.1942
Genitori carissimi,
finalmente posso scrivervi per comunicarvi il mio arrivo in zona di operazione. Ieri sera arrivammo dove trovammo quelli che ci avevano preceduto. Il viaggio, malgrado lungo, è andato bene. Ho avuto l’opportunità di ammirare molti paesi diversi e le loro caratteristiche. Dove mi trovo e, per meglio dire, in tutta la Russia regna una profonda miseria. Mai mi sono trovato di fronte a così grande bassezza umana: visi scarni, macilenti, con vestiti a brandelli, scalzi. Abitano ammassati in luride catapecchie, che sono costruite con frasche e stabia. Vie di comunicazione vere e proprie non ce ne sono: sono quasi tutte piste e al passaggio di automezzi s’innalza un terribile polverone. Questo è in piccolo il quadro del paradiso bolscevico. Ho potuto notare, parlando con qualcuno, che i
bolscevichi non hanno potuto distruggere la religione. Quando mostravo a qualche vecchia o a qualche bambino una sacra immagine, mi ringraziavano e avidamente se la mettevano a baciare. Il popolo è, secondo il mio punto di vista, intelligente, ma lasciato in stato di abbrutimento dal regime. Considerate tutte queste cose ho potuto maggiormente comprendere che noi stiamo combattendo una santa causa …”

Beatrice Marcolli
Elisa Ruggeri
Michela Taborelli